IL PUNTO BIANCOBLU
ROCCO ILARIA- RISCRIVERE LA STORIA-Reduci dalla bellissima vittoria in terra emiliana, è giunta l’ora tanto attesa: quella del derby!!!
L’ora doveva essere quella delle 20.45…ora è diventata le 18.30…domani sarà nuovamente spostata alle 10,15 del mattino?...
Domandina stupìta e forse anche un po’ stupida: ma cosa cambia tra il tardo pomeriggio e la prima serata? Qualche bagliore di luce in più? Boh! Misteri…
E intanto chi ci rimette è sempre il tifoso, magari quello che aveva comprato felice il biglietto sapendo di dover andare ad una comunione nel pomeriggio e poi allo stadio…e che ora non sa che pesci prendere…
Al solito, nulla di nuovo in questo Paese dei balocchi.
Ma veniamo a come e perché riscrivere la storia.
Anzitutto il derby.
La storia ci ha insegnato che noi non siamo stati mai messi nelle condizioni di far saltare i piani avversari di scudetto o retrocessione (se si eccettua quello giocato due anni fa e finito con il goal di Behrami): un po’ per sciocca sudditanza (vedasi derby finale di campionato finito 0 – 0 quattro anni fa) non abbiamo avuto il “coraggio” di infierire, un po’ per i soliti arbitraggi a senso unico mirati ed ammirati nella stracittadina, spesso per pura sfiga. Dall’altra parte se sa lo sono gestita sempre a lor piacimento, vincendo quando dovevano affossarci, senza remore e con la giusta cattiveria.
Ecco. Questo oggi chiede l’intera tifoseria laziale, dopo i proclami lunghi mesi nei quali si sono esibiti i camPEONES brucaroli (dai pianti di De Rossi ai gesti e le parole der pupone): vincere e fermarli, con grinta, abnegazione, tecnica e lucidità. In poche parole, COL CUORE!
Non vi sono altri risultati possibili e immaginabili nella testa e nell’animo del laziale se non quello di vincere questo storico derby.
Siamo a casa nostra, gli “ospiti” devono entrarci in punta di piedi ed uscirci, sportivamente parlando, con la coda tra le gambe.
E’ questo e solo questo che il popolo laziale pretende dai suoi 11 rappresentanti in campo.
Per riscrivere una storia, che in troppi, soprattutto qui nella Capitale, sono sempre stati abituati ad indirizzare in un senso unico e ben preciso.
Ma la storia va riscritta anche e soprattutto attraverso il processo di Calciopoli.
Per anni, anzi per decenni, noi della generazione anni 70 abbiamo dovuto convivere con il trauma dei calcio scommesse; in particolare, noi laziali abbiamo dovuto subire ed accettare retrocessioni e penalizzazioni a senso unico, in scandali partiti da dichiarazioni di personaggi ambigui e malavitosi, amici intimi di giocatori di squadre e società mai colpite per decenni, o, in alcuni rari casi, colpite solo marginalmente dal putiferio della cosiddetta giustizia sportiva. Noi abbiamo pagato come nessun’altra società calcistica, per colpe che, come minimo, potevano essere equiparate a quelle di giocatori altrui (casualmente subito ceduti, ma guarda un po’…) e società sportive di pari livello e serie.
Scudetti persi e/o vinti con strane serie di vittorie e/o passi falsi; retrocessioni decise da partite combinate…il tutto come andazzo di questi ultimi decenni.
Allora, perché tirare fuori solo un manipolo di intercettazioni, estrapolate solo in un piccolissimo periodo storico e stranamente (troppo stranamente) tutte veicolate a senso unico su alcune società, estranee (guarda un po’…) ad una coesa logica finanziario-bancaria? Sol perché dall’altra parte c’era l’altro grumo di potere imperante da 15 anni?
2 grandi società contro altre 2 grandi società, 2 grumi di potere agli opposti giunti finalmente ad una resa dei conti?
Noi tifosi pretendiamo che la giustizia sportiva consideri tutti e due i grumi di potere che hanno deciso il calcio in questi ultimi decenni, senza interessarci di chi avesse più o meno responsabilità.
Le responsabilità sono generali: e allora o si scoperchia tutto condannando tutti o si rischia ancora una volta (classico malcostume tutto italico) di fare figli e figliasti, assolti e condannati, buoni e cattivi.
Tutti sanno come non sia così. Vediamo e osserviamo attentamente se questo calcio avrà le palle per azzerare le solite facce e i soliti caporali.
Io non ci credo. Ma la speranza di chi ha vissuto di calcio e di tifo per 40 anni è l’ultima a morire.
La speranza di poter RISCRIVERE LA STORIA