LE PRETESE DEL LAZIALE
ROCCO ILARIA- Il laziale pretende tutto e il contrario di tutto.
E' stato abituato a lamentarsi non per costituzione ma per educazione.
Fino agli anni 60 il laziale era orgoglioso della propria appartenenza e come tale sapeva gestire perfettamente il proprio orgoglio di bandiera senza starsi a porre troppi perchè e troppi per come.
Dai primi anni settanta arrivò la rivoluzione Chinaglia (che io definirei senza ombra di mio dubbio la rivoluzione maestrelliana) e quello fu uno spartiacque decisivo per la formazione di un nuovo laziale.
Da quei trionfi inaspettati il laziale cominciò a gonfiare giustamente il petto, mantenendo e aumentando la proverbiale distinzione di appartenenza e di diversità dal caciarume populista tipico dell'altra sponda del Tevere. A questo collaborò in maniera importante l'atteggiamento sfrontato e orgoglioso di Long John, un vero trascinatore delle folle laziali.
Da lì nacque una generazione di laziali (la nostra) abituata a prevalere e a vincere.
Quando improvvisamente...dopo 3 anni di strapotere cittadino e nazionale, ecco accadere il primo black out per il tifoso laziale: il suo idolo incostratato, l'uomo sul quale erano riposti sogni e rivincite, il mito di Giorgione...fa le valigie in piena lotta campionato (per non retrocedere) e se ne va...infischiandosene del suo popolo, della sua maglia, della sua bandiera.
Quello fu un trauma, un tradimento mai atteso e perciò ancor più doloroso.
Quello fu l'inizio di una serie di tradimenti ancor più gravi (il nostro Capitano, il nostro giovane grande bomber, il nostro splendido centrale e altri figuri della pedata) che portarono la Lazio e i suoi tifosi dagli altari alla polvere più infima, dalle carceri alle squalifiche, dai sogni di primato ai tristi campionati cadetti.
Una sequenza infinita di delusioni e prese per il culo (vedasi tra le tante il ritorno di Long John da Presidente e quello tentato dallo stesso in tempi più recenti) che hanno minato una parte consistente della tifoseria, rinsaldando come l'acciaio un'altra parte (la mia) come unico blocco e zoccolo duro della lazialità.
In queste disavventure siamo sempre rimasti soli a lottare contro tutti, isolati da sempre sia a livello politico che mediatico, a favore della parte consumistico-popular della città.
In questa lunga e orrenda parte della nostra storia si inserirono quei pochissimi portaparola della comunicazione nostrana, schiacciati tra il bisogno di inventarsi una propria professione e il doverla foraggiare in un ambiente in cui era vietato (se volevi sponsor) schierarsi contro il "nemico" storico.
Di qui, l'ambiguità storica di certa comunicazione laziale che contribuì in modo decisivo a minare le sicurezze e gli orgogli acquisiti dalla vera epopea biancoceleste del secolo scorso.
Di lì la creazione prima virtuale poi sempre più concreta di un tifoso pauroso, insicuro, sempre subordinato alle sfortune proprie e alle supremazie altrui, esattamente il contrario di quel tifoso incazzato e sfrontato della mia generazione.
Solo Cragnotti tentò di aprire un'era diversa.
Ma poco durò. Anche quella (di era) soggetta, nonostante i trionfi e lo schieramento dei migliori giocatori del mondo, a numerose contestazioni e a continui mugugni, derivati da una scontentezza di base e dalla voglia di protagonismo di troppi anchorman.
Ricordo ancora quando in radio, unica isola ultras di quegli anni, spronavo i laziali a riempire lo stadio per un quarto di Champions o una semifinale Uefa...niente di niente.
Ormai il baco dell'inferiorità e della superstiziosa insicurezza era stato inculcato.
Oggi, nonostante una gestione societaria di "sofferenza", basata sull'investimento al minimo indispensabile, la Lazio ha cominciato il girone di ritorno nelle vette della classifica.
Eppure allo stadio si va in 20.000...eppure nelle radio si sentono continue critiche ai giocatori, al tecnico (un uomo che da quando è arrivato qui ha fatto un miracolo dietro l'altro), alla società...eravamo primi e non andava bene perchè poi...eravamo secondi e perchè non eravamo più primi...siamo terzi e pare che niente e nessuno possa evitarci l'Europa League...e così ora che siamo quarti....c'è sempre qualcosa che non va...la chiamano "critica costruttiva"...cialtroni...
A Napoli, nelle nostre stesse identiche condizioni, vanno allo stadio in 60.000 e il Presidente, giustamente, si vede disposto e spinto ad investire ancora.
Qui la domanda è: a fronte di tante critiche e aspettative, le PRETESE DEL LAZIALE, per quale oscuro motivo una società dovrebbe trovare la spinta a crescere ed investire ancora?...per quale oscuro motivo i mezzi di informazione dovrebbero dedicarci prime pagine?...per quale oscuro motivo le stanze del potere politico-calcistico dovrebbero "spingere" la Lazio invece del Napoli e/o della roma?...QUANDO LA NOSTRA TIFOSERIA CHIACCHERA E SI LAMENTA SULLE RADIO, SI SPACCA SU TUTTO, ARRIVA ADDIRITTURA AD AUGURARSI SCONFITTE E, A CONCLUSIONE DI TUTTO CIO', SI "MOBILITA" IN VENTIMILA A PARTITA?
Allora, prima di piangerci addosso e di lamentarci di tutto, prima di criticare un allenatore che ha fatto e sta facendo (e mi auguro farà ancora per anni) la storia positiva di questa nostra Lazio, raccolta in cima al dirupo 12 mesi fa e lanciata nelle alte vette della classifica in pochissimo tempo...vediamo d'imbracciare di nuovo la nostra polverosa bandiera...farla finita di alimentare chiacchere...alzare il culo...e tornare a tifare LAZIO!