PARLA OLIMPIA
Fateme largo che ora parlo io. Sì, ho già preso l'accento romano nonostante vengo da Lisbona e finora mi ero concentrato sul portoghese. Mi chiamo Olimpia, per chi non lo sapesse ancora, sono il simbolo della S.S. Lazio, società più antica della capitale, il club che ha portato il calcio a Roma, tanto per ricordarlo a qualche lupetto da strapazzo come quelli che vagavano per le vie dell'urbs in attesa della fusione del 1927. So tutto, mi hanno raccontato che noi siamo gli eredi dei Cesari, qualcun altro dei Cesaroni. Una delle prime cose che mi hanno detto è che da queste parti c'è pure un lupa (la chiamano così... ma non ha il nome perché non si conosce nemmeno la data di fondazione del club che simboleggia) che dovrebbe essere mia cugina. Ma de che? Nun scherzamo, al massimo una conoscente che sta lì sotto. Mi capita di incontrarla un paio di volte all'anno ma da quassù mi sembra una bassotta, al massimo. Comunque, scherzi a parte, sto' proprio bene, vivo da re a Formello, in mezzo al parco di Veio. Mi alleno un paio d'ore al giorno e poi salmone, pollo e coniglio e una volta alla settimana un bel bagno con idromassaggio con quattro falconieri che sono meglio dei camerieri di Buckingam Palace.
Alla faccia della Lav e della Forestale: non vi azzardate a riportarmi a Lisbona che ve dò una «beccata» e pensate agli altri rapaci che se la passano male davvero non a me che non ho bisogno di nulla. Anzi, sto una pacchia, mi piacciono i colori biancocelesti, mi piace il nome col riferimento alle Olimpiadi che i miei tifosi hanno dato, mi fa impazzire la Nord in festa e persino Lotito: per ora non mi fa mancare nulla alla faccia delle voci maligne che erano arrivate alle mie orecchie. A proposito, l'altro pomeriggio, prima di Lazio-Brescia, mi sono presentata con qualche minuto di ritardo ma ho visto che da queste parti è un'usanza consolidata. Ho volteggiato fiera nell'aria, ho fatto l'occhiolino alla Madonnina sopra Monte Mario (non si sa mai, col traffico aereo molto intenso meglio non mancare di rispetto a quelli che stanno più in alto di me) e poi mi sono adagiata al primo colpo sullo scudetto. Vi ho guardato tutti negli occhi, eravate in trentamila, la prossima volta contro il Cagliari sono sicuro che sarete di più anche per venire a darmi un saluto.
Del resto sono proprio come voi: non apprezzo trucidi e coatti, mi piace la romanità che è un'altra roba. Permettetemi un pizzico di immodestia, ma noi aquile siamo il simbolo di vittoria, potenza e prosperità. Non a caso siamo state l'emblema delle legioni dell'Impero e per questa ragione che Sante Ancherani e gli altri fondatori hanno scelto proprio me per rappresentare la Lazio. Alla prossima, torno a svolazzare ma adesso che siamo primi non molliamo e in becco all'aquila a tutti. E ricordatevi, come dice il mio amico Trilussa: «L'aquila vola, tutto il resto striscia», lupi, lupe o derivati. IL TEMPO